De vulgari eloquentia: Lingua Sacra e Tradizione Arcaica

“Dico a socera perché nora intenda” con questa frase Alessandro Manzoni inizia una sua lettera a Ruggero Bonghi, l’allora ministro dell’istruzione pubblica, dove il noto scrittore viene a parlare con linguaggio prudente e sibillino del libro De vulgari eloquentia di Dante Alighieri, libro “citato da molti e letto quasi da nessuno”.

Un trattato in prosa latina di argomsei ritratti di poeti toscani_vasariento linguistico-retorico, dedicato alla definizione della lingua volgare da usare nelle opere letterarie. Così lo troviamo definito oggi nelle varie antologie letterarie.

Ma continuiamo con la lettera del Manzoni: “L’opinione che Dante, nel libro De Vulgari Eloquio, abbia inteso di definire, e abbia definito quale sia la lingua italiana, è talmente radicata, che non si suppone generalmente che possa neppure essere messa in dubbio…ma in esso non si tratta di lingua italiana né punto né poco”.

Ecco che in questa opera quindi non si  parla di una lingua ma di una determinata forma di linguaggio, una forma con una struttura precomposta, secondo debiti numeri regolata come scrisse il Boccaccio che ne fanno un mezzo adatto alla Rivelazione, alla trasmissione della Rivelazione e della Tradizione e che diventa così la pantera allegorica che “fa sentire il suo profumo ovunque e non si manifesta in nessun luogo” se non nelle poesie di “Cino Pistoiese e l’amico suo (così Dante si presenta nell’opera) dell’amore suoi servitori e ministri”.

a cura di Franco Naldoni e Debora Viciani

Giovedì 26 Febbraio ore 21,30