De vulgari eloquentia: Lingua Sacra e Tradizione Arcaica

“Dico a socera perché nora intenda” con questa frase Alessandro Manzoni inizia una sua lettera a Ruggero Bonghi, l’allora ministro dell’istruzione pubblica, dove il noto scrittore viene a parlare con linguaggio prudente e sibillino del libro De vulgari eloquentia di Dante Alighieri, libro “citato da molti e letto quasi da nessuno”.

Un trattato in prosa latina di argomsei ritratti di poeti toscani_vasariento linguistico-retorico, dedicato alla definizione della lingua volgare da usare nelle opere letterarie. Così lo troviamo definito oggi nelle varie antologie letterarie.

Ma continuiamo con la lettera del Manzoni: “L’opinione che Dante, nel libro De Vulgari Eloquio, abbia inteso di definire, e abbia definito quale sia la lingua italiana, è talmente radicata, che non si suppone generalmente che possa neppure essere messa in dubbio…ma in esso non si tratta di lingua italiana né punto né poco”.

Ecco che in questa opera quindi non si  parla di una lingua ma di una determinata forma di linguaggio, una forma con una struttura precomposta, secondo debiti numeri regolata come scrisse il Boccaccio che ne fanno un mezzo adatto alla Rivelazione, alla trasmissione della Rivelazione e della Tradizione e che diventa così la pantera allegorica che “fa sentire il suo profumo ovunque e non si manifesta in nessun luogo” se non nelle poesie di “Cino Pistoiese e l’amico suo (così Dante si presenta nell’opera) dell’amore suoi servitori e ministri”.

a cura di Franco Naldoni e Debora Viciani

Giovedì 26 Febbraio ore 21,30

 

“…e donna mi chiamò beata e bella”

La Beatrice di Dante

Beata e bella, luce e gloria de la gente umana. Questa è la gloriosa donna della mente di Dante, donna che la critica ufficiale ha voluto materializzare nella figura di Beatrice Portinari figlia di Folco e moglie di Simone di Bardi, cadendo così nella “beffa”architettata dal Boccaccio:

Beatrice

 

“Io ho messo in galea

senza biscotto

l’ingrato vulgo, e senza alcun piloto

lasciato l’ho in mar a lui non noto

ben che sen creda esser maestro e dotto”

 

Opera quindi di occultamento quella del Boccaccio che ha così celato a occhi indiscreti la realtà di questa donna, allegorizzata dai poeti del 1200 nella fenice, il mitico uccello che moriva bruciando e che ogni 500 anni risorgeva per le misteriose virtù della pietra del Graal,come il Von Eschenbach  nel suo “Parzival” ci racconta.

“Modicum, et non videbitis me;Phoenix_detail_from_Aberdeen_Bestiary

et iterum…

modicum, et vos videbitis me”

(Pg XXXIII 10-12).

 

“Un poco e non mi vedrete; e di nuovo un poco e mi vedrete” … in questa maniera si presenta Beatrice a Dante nel purgatorio… le stesse parole con cui Cristo annunziò ai discepoli la sua morte e resurrezione (” Modicum, et iam non videbitis me; et iterum modicum, et videbitis me, quia vado ad Patrem “,Ioann. 16, 16).

Carattere discontinuo quindi la presenza di questa fenice nella storia dell’umanità, come discontinua rifulge e risorge la poesia d’amore che canta la bellezza di questa Donna che diventa per il poeta madre, sorella, amante, guida, lungo una strada che lei stessa traccia e che in un irrefrenabile slancio d’amore il poeta segue, lasciandosi così trasformare sino alle estreme conseguenze quali il farsi somigliante a Dio.

Una strada, un cammino che solo la lettura morale, allegorica e anagogica ci svela e che conduce a glorioso porto…se segui tua stella…beata e bella.

 a cura di Franco Naldoni e Debora Viciani

Giovedì 19 Febbraio ore 21,30

Ingresso libero