Il disegno

Una volta che la tavola è stata preparata con l’imprimitura, e debitamente trattata fino ad ottenere una superficie liscia e compatta, è pronta per ricevere la pittura.

L’icona in genere ha il fondo dorato anche se esistono altri tipi di fondi, ma prima di procedere alla doratura, occorre fare il disegno, che ci serve per separare la superficie da dorare da quella su cui dipingere.

Il disegno, o per lo meno il contorno del disegno, viene inciso con un punteruolo o una punta secca, un’operazione che richiede pazienza, precisione e mano ferma.

E’ noto che le composizioni delle icone non seguivano l’arbitraria scelta dell’iconografo, ma erano dettate dalla Chiesa, non per una questione riguardante lo stile, ma il contenuto; l’icona, quale che sia il luogo dove è stata realizzata, deve trasmettere a chi la guarda gli stessi concetti teologici.

Non è un oggetto decorativo, estetico, ma un oggetto sacro e quindi il messaggio che veicola è più importante dell’aspetto artistico.

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I canoni tradizionali sono stati tramandati attraverso gli schizzi preparatori, anche se gli antichi maestri iconografi si potevano avvalere delle icone dei loro predecessori, che costituivano i modelli a cui fare riferimento.

I prototipi da cui si attingevano gli schemi per la composizione sono delle icone così dette miracolose, perché ad ognuna di esse è collegata una “leggenda” che ne stabilisce il valore spirituale.

Le informazioni necessarie per dipingere un’icona sono raccolte in “libri” chiamati in russo “podlinik”, dove i Personaggi e le Feste liturgiche sono descritte con schizzi, dove sono indicate le giuste iscrizioni e i colori da scegliere per il fondo e per gli abiti.

Grafia con aureola all'interno

A noi è giunto il manuale di pittura del Monte Athos di Dionysios di Fournà ma è del 1700, e contiene solo descrizioni sommarie sulle composizioni, alcune ricette, ma nessun disegno; utile per quello che riguarda la pittura ed altri aspetti pratici è il libro dell’arte di Cennino Cennini, pittore nato a Colle Valdelsa nel 1370.

Nel 787 il VII concilio ecumenico, quello conosciuto come Niceno II, dà vita all’arte liturgica definendo l’icona un’immagine teologica prima di essere un’immagine dipinta. Sono infatti i Padri della chiesa che hanno “costituito l’icona” formulandone la teoria e lasciando agli iconografi la tecnica.

di Eleonora Guarducci

Preparazione della tavola

Colla di caseina e tela di lino

La realizzazione di una icona è un procedimento abbastanza complesso fatto di varie fasi. Una di queste è la preparazione della colla che serve per tutta la fase preliminare: l’incollaggio della tela chiamata in gergo “ammannitura” e la preparazione dell’impasto con l’alabastro che andrà a formare il levkas e quindi la vera e propria “imprimitura”.

tela di lino

Applicazione della tela

Si possono usare varie colle, come ad esempio la colla di pesce o quella di coniglio, ma noi preferiamo usare la colla di caseina che è ottenuta dal latte scremato poiché la caseina è una proteina del latte.

E’ una colla forte, una delle migliori, perché una volta asciutta è insolubile all’acqua e resiste bene all’umidità; per qualcuno è una colla un po’ rigida, non adatta ai supporti flessibili alla quale si sopperisce aggiungendo all’impasto della glicerina pura.

Prima di applicare la tela è possibile scavare la nostra tavola di 3 o 4 millimetri, in modo da creare una specie di cornice naturale: questo incavo veniva chiamato “kovceg”, detto anche “culla” e sembra indicare una certa intimità fra il personaggio raffigurato e Dio.

Abgar

Abgar V che tiene in mano il Mandylion

Una volta preparata la tavola di legno, viene applicata una tela di stoffa sottile e morbida, senza nodi, una tela di bisso di lino, incollata al legno con la colla di caseina: questo accorgimento da un punto di vista tecnico fa si che lo strato gessoso e la tela formino uno strato unito e resistente capace di sopportare al meglio le tensioni inevitabili del legno; esso ha inoltre anche un valore simbolico e un preciso riferimento teologico: il ricordo dell’avvenimento miracoloso da cui deriva la prima icona, “il volto non dipinto da mano d’uomo”, cioè il volto del Cristo acheropita, che Gesù consegnò impresso sul lino ai messi del Re Abgar affinché fosse guarito dalla lebbra. In analogia a questo avvenimento abbiamo nella nostra tradizione occidentale il santo volto del Cristo impresso nel velo della “Veronica”.

 

L’imprimitura

Una volta asciutta la nostra tavola, si procederà all’imprimitura vera e propria con quattro mani di gesso e colla. Nel nostro caso il gesso è composto da polvere di alabastro ben setacciata incorporata alla colla di caseina.
Questo fondo viene definito “levkas” da leukos che in greco significa bianco, proprio perché questa tecnica è stata elaborata a Bisanzio; da un punto di vista tecnico costituisce un buon fondo per la stesura dei colori perché omogeneo, piano e assorbente.
Per “imprimitura” s’intende la preparazione di una superficie da dipingere mediante sostanze adatte a facilitare la stesura del colore.

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Imprimitura

La parola imprimitura ci dà l’idea dell’imprimere, del premere, simbolicamente è anche un lavorare su noi stessi, sulla nostra interiorità per imprimervi quella purezza capace di riflettere la luce divina.

L’alabastro, che comunque appartiene alla famiglia dei gessi, è un minerale antichissimo composto di solfato di calcio, al microscopio si presenta in forma cristallina, la sua polvere è lucente, madreperlacea, vitrea, ha la proprietà di riflettere la luce.
Così anche la nostra tavola una volta asciugata presenterà una superficie liscia e brillante dovuta proprio alla polvere di alabastro che se pur polverizzato mantiene la sua struttura cristallina.

Pavel_Florensky

Pavel Florenskij

Per Pavel Florenskij, come si può leggere nel suo libro “Le porte regali”, l’opera dell’iconografo è quella di mutare la tavola in parete, perché la parete di pietra offre una superficie salda ed immobile, simbolo di incrollabilità, così che la tavola dell’icona possa condensare la qualità perfetta della parete, la sua essenza.
Nelle icone antiche, quelle che venivano dipinte a scopo liturgico nei monasteri, da monaci che si sottoponevano ad un rigoroso regime ascetico, nel levkas veniva incorporata qualche particella polverizzata delle ossa di un santo, così da far diventare l’icona ancor più “luogo della presenza”.

di Eleonora Guarducci