Preparazione della tavola

Colla di caseina e tela di lino

La realizzazione di una icona è un procedimento abbastanza complesso fatto di varie fasi. Una di queste è la preparazione della colla che serve per tutta la fase preliminare: l’incollaggio della tela chiamata in gergo “ammannitura” e la preparazione dell’impasto con l’alabastro che andrà a formare il levkas e quindi la vera e propria “imprimitura”.

tela di lino

Applicazione della tela

Si possono usare varie colle, come ad esempio la colla di pesce o quella di coniglio, ma noi preferiamo usare la colla di caseina che è ottenuta dal latte scremato poiché la caseina è una proteina del latte.

E’ una colla forte, una delle migliori, perché una volta asciutta è insolubile all’acqua e resiste bene all’umidità; per qualcuno è una colla un po’ rigida, non adatta ai supporti flessibili alla quale si sopperisce aggiungendo all’impasto della glicerina pura.

Prima di applicare la tela è possibile scavare la nostra tavola di 3 o 4 millimetri, in modo da creare una specie di cornice naturale: questo incavo veniva chiamato “kovceg”, detto anche “culla” e sembra indicare una certa intimità fra il personaggio raffigurato e Dio.

Abgar

Abgar V che tiene in mano il Mandylion

Una volta preparata la tavola di legno, viene applicata una tela di stoffa sottile e morbida, senza nodi, una tela di bisso di lino, incollata al legno con la colla di caseina: questo accorgimento da un punto di vista tecnico fa si che lo strato gessoso e la tela formino uno strato unito e resistente capace di sopportare al meglio le tensioni inevitabili del legno; esso ha inoltre anche un valore simbolico e un preciso riferimento teologico: il ricordo dell’avvenimento miracoloso da cui deriva la prima icona, “il volto non dipinto da mano d’uomo”, cioè il volto del Cristo acheropita, che Gesù consegnò impresso sul lino ai messi del Re Abgar affinché fosse guarito dalla lebbra. In analogia a questo avvenimento abbiamo nella nostra tradizione occidentale il santo volto del Cristo impresso nel velo della “Veronica”.

 

L’imprimitura

Una volta asciutta la nostra tavola, si procederà all’imprimitura vera e propria con quattro mani di gesso e colla. Nel nostro caso il gesso è composto da polvere di alabastro ben setacciata incorporata alla colla di caseina.
Questo fondo viene definito “levkas” da leukos che in greco significa bianco, proprio perché questa tecnica è stata elaborata a Bisanzio; da un punto di vista tecnico costituisce un buon fondo per la stesura dei colori perché omogeneo, piano e assorbente.
Per “imprimitura” s’intende la preparazione di una superficie da dipingere mediante sostanze adatte a facilitare la stesura del colore.

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Imprimitura

La parola imprimitura ci dà l’idea dell’imprimere, del premere, simbolicamente è anche un lavorare su noi stessi, sulla nostra interiorità per imprimervi quella purezza capace di riflettere la luce divina.

L’alabastro, che comunque appartiene alla famiglia dei gessi, è un minerale antichissimo composto di solfato di calcio, al microscopio si presenta in forma cristallina, la sua polvere è lucente, madreperlacea, vitrea, ha la proprietà di riflettere la luce.
Così anche la nostra tavola una volta asciugata presenterà una superficie liscia e brillante dovuta proprio alla polvere di alabastro che se pur polverizzato mantiene la sua struttura cristallina.

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Pavel Florenskij

Per Pavel Florenskij, come si può leggere nel suo libro “Le porte regali”, l’opera dell’iconografo è quella di mutare la tavola in parete, perché la parete di pietra offre una superficie salda ed immobile, simbolo di incrollabilità, così che la tavola dell’icona possa condensare la qualità perfetta della parete, la sua essenza.
Nelle icone antiche, quelle che venivano dipinte a scopo liturgico nei monasteri, da monaci che si sottoponevano ad un rigoroso regime ascetico, nel levkas veniva incorporata qualche particella polverizzata delle ossa di un santo, così da far diventare l’icona ancor più “luogo della presenza”.

di Eleonora Guarducci

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